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RECENSIONI

Con il libro Del celeste confine Norma Stramucci realizza un singolare poema in cui si fondono in modo felice ispirazione biblica (testimoniata anche dall'epigrafe costituita dal versetto di un salmo) e tono fiabesco, con personaggi quotidiani quali Ilaria o Paolo, ed allegorici, come il dio Lamor o la malefica Hùtama. Il poema, in quattordici lasse, si configura come un viaggio allegorico in uno spazio insieme reale e favoloso, che ha per scopo di far rivivere i colori in una novella "terra desolata". Il viaggio si conclude felicemente. E' all'arte ("Tu Andrea suona e suona", dice il Lamor) che viene affidato il compito di restituire alla terra la sua bellezza primigenia. Lo stile del poema è originale e pregevole. I versi sono in genere molto lunghi; il linguaggio, volutamente prosastico, ricco di termini quotidiani, scientifici, talvolta filosofici, sa anche farsi lirico e intenso.

 

dalla Nota critica della giuria del Premio Nazionale di Poesia "Antica Badia di San Savino" - Pisa

 


RECENSIONE DI RAFFAELE PIAZZA

RECENSIONE DI ARMANDO ROMANO

RECENSIONE DI MAURIZIO MAROTA

in "Il Messaggero" 13 ottobre 2003, p 31

 

D'Elia, Bedini, Stramucci

la poesia rammenta

civiltà e senso della lingua

 

"Nell'autunno par che il sole e gli oggetti sieno d'un altro colore, le nubi di un'altra forma, l'aria d'un altro sapore. Sembra assolutamente che tutta la natura abbia un tono, un sembiante tutto proprio di questa stagione, più distinto e spiccato che nelle altre (...)": è il Leopardi dello Zibaldone, dopo la lunga e calda estate, spento "il desiderio de' piaceri" quando, in silenzio come gli uccelli sui rami del mattino, torna la poesia a rammentarci la civiltà terribile del senso e della lingua, quest'italiano minore che resiste all'orrore mercantile e mediatico di una vita virtuale e inesistente, nell'impostura del niente.

[...]

A Recanati, dove è nata, Norma Stramucci dedica Del celeste confine (Manni), cantica o racconto battuto - in senso grafico e musicale - in versi, viaggio che configura una sorta di esodo verso la verità e i sensi che guidano alle trame del bene e del male. Non c'è tempo nella storia o il tempo è quel sempiterno scandirsi delle stagioni e dei climi, sentiero che interseca i regni, le età, i nomi pronunciati con gli idiomi della fiaba e del mito, presenze, aromi, uccelli, suoni, l'azzurra infanzia di stupore e incanto. Forse è lei, inviolata, la vera dominante di questo andare tra lucertole e fresie, tra campi di amarene e la valle del fiume Sangro, verso l'inestinguibile bene che annienta ogni ombra del dolore e riconduce al luogo della verità e del sogno, ancora Recanati, che si fa cuore e metafora di quel cammino, isola millenaria, paese di parole e familiare concilio d'affetti sulla quieta riva degli approdi.

 

   Francesco Scarabicchi

 

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