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Cristiana Cirilli, Fili e ponti e il sentimento della mancanza  

È una mancanza quella di cui Cristiana Cirilli soffre nel tempo oggetto della narrazione. Lei stessa, nella Nota dell’autrice, a p. 13 di Fili e ponti, Il Filo, 2008, ci avverte: “È necessario immaginare un prima […] e presupporre un poi”. Getta dunque un “ponte” verso un futuro che suppone, per tante pagine, non poter colmare il desiderio chiave del libro, consapevole però che il “filo” della vita va costantemente tessuto. Non serve fissarne gli estremi, per potervi stare in equilibrio, all’ignoto; bastano due alberi di cortile, il quotidiano dunque, ciò che si tocca, si vede e fa parte dell’esperienza che non va subita, ma alla quale è necessario attribuire senso attraverso la parola poetica, lo “spettacolo di sillabe” (p. 14).   Il filo teso si fa “onesta strada” in cui “c’è croce, tanta croce” (p. 20), e si profila la ragione della sofferenza: “Un eterno lontano” (p. 24): un oggetto del desiderio sentito come irraggiungibile. Il nome lontano e l’aggettivo eterno parrebbero indicare una vaghezza estrema, ma l’articolo indeterminativo suggerisce che l’autrice si riferisce a qualcosa di ben preciso. Torna l’articolo indeterminativo e ha la stessa funzione:  “Un non / che riassume ogni senso” (p. 34). È una dunque la negazione, ma dobbiamo attendere la pagina 35 perché l’autrice la espliciti: “l’ho perso ancora prima di concepirlo / quell’essere umano / che si chiama figlio”. Verrebbe in mente  Schopenhauer: “Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza” (Il mondo come volontà e rappresentazione, RomaBari, Laterza, 1979, vol. II, p. 270), ma il pensiero del filosofo, che considera solo apparente la soddisfazione finale, non si coniuga con il sentimento espresso in questo libro da Cristiana Cirilli: non ci sono alternative altrettanto grandi al suo desiderio, non ci saranno altri bisogni con i quali sostituire quello patito.   Scopre in se stessa, in un anche, la consolazione: “sapersi esistere anche nel qui ed ora” (p. 43) e soprattutto in un Ma, dall’importanza fondamentale per la comprensione del libro: “ Ma / / Sono mente / perciò sono presente / sono volto / perciò sono ascolto / sono braccia / perciò sono chi abbraccia / sono parole / per questo sono sole / sono sole / sarò calore” (p. 42). Concordano in questi versi il presente ed il futuro. Così “Domani” è l’ultima parola del libro (p. 82), un avverbio di tempo che non chiude, che presuppone un poi: il riempimento della mancanza, l’attesa soddisfatta: “Ti attendo, ti aspetto, ti sogno / e non so dirti altro, bimbo, che sei il mio sogno” (p. 52).   Il tema della maternità è dunque uno dei fili conduttori della narrazione poetica, e dunque non l’unica prospettiva. Traspare in questi versi una esemplare disposizione alla meraviglia. La neve, il vento, la sabbia, l’acqua, le ombre, i gatti, un’orchidea, una valigia, una preghiera, un computer… Ogni cosa, dell’uomo e della natura, è occasione per dire poeticamente che “Non si sbriciola il mondo, / trema forse soltanto… / no, non va a fondo” (p. 21). 

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